martedì 13 settembre 2016

The truth in the mirror



Il riflesso è ciò che ti fotte.
Quando pensi di fissarti allo specchio e di non essere in grado di riconoscerti, non fai altro che confermare ciò che in realtà sai.
Stai mentendo a te stesso.
Quel riflesso è ciò che sei.
Quello che pensavi fossi diventato non è altro che una maschera creata ad arte.
Non sei buono, non sei altruista.
Sei nato solo, e per paura di soffrire lo sei rimasto per molto tempo.
Essere egoisti dopo tutto non è poi una cosa così negativa.
Pensare a se stessi, al piacere personale... non è poi così brutto.
Forse, l'unico modo per essere felici è davvero quello di non avere alcuna responsabilità.

Only a Nightmare


Non riesce a dormire, 
perchè ancora lo rivive, 
ogni volta che chiude gli occhi.

Si sveglia da solo in una piazza che ben conosce, solo per la grande fontana al centro, perchè se non fosse stata per quella sarebbe rimasto spaesato. 
Intorno a lui vi è solo il caos: gente che combatte con con armi di fortuna, mazze, coltelli ed armi da fuoco ma nel caos spiccano suoni altrettanto rumorosi dati dai poteri dei super umani che combattono per difendere la propria vita.
Pianti di disperazione, urla di odio e gemiti di dolore si fusero alla cacofonia stordendolo ancora più di quanto non fosse già.
Nessuno sembra far caso a lui ma d'un tratto, lontano, qualcosa alla fine della piazza attrae la sua attenzione.

Ambrose spicca nella ressa, circondato da umani violenti, intento a schivare più colpi possibili e tirare pugni ad ogni viso che gli capita a tiro, ma sono troppi per lui.
Il gelo gli entra nell'anima mentre resta shocakto dalla dell'amore della sua vita intento di ribellarsi da un gruppo di giovani umani che la riescono a bloccarlo con l'intento di colpirlo a morte, insultandolo al motto di: 

"Mostro schifoso. Vali anche meno di 200 dollari!"

Inizia a correre, mentre la sua paura più grande viene rappresentata davanti ai suoi occhi.
Corre. 
Corre a perdifiato mentre il ghiaccio affiora dalla sua pelle trasfigurandone i tratti urlando il nome dell'amato in preda al terrore, ma quello è un incubo e non lo raggiunge mai, quantomeno non  in tempo.
Lo vede lì in mezzo alla bolgia, la persona che ama, la persona a cui tiene di più al mondo.
E non può far altro che correre per cercare di raggiungerlo, sparando raggi congelanti verso i vigliacchi sentendo la richiesta d'aiuto di Ambrose, spaventato, urlante e coperto di insulti.
Lo vede cercarlo nella folla, con gli occhi ciechi che spaziano la zona cercandolo, chiamandolo, il volto tumefatto ed il sangue che gli macchia il volto per una ferita alla testa, ciocche di capelli che si muovono aprendosi in una criniera mentre si dimena e combatte con ogni fibra del suo essere, come solo uno prossimo alla morte è in grado di fare.

Ma anche le sue capacità non riescono a sostenere un assalto così massiccio. Un colpo di mazza dietro la schiena lo piega in due smorzandogli il fiato prima di ricevere un'accoltellata al ventre.
Lo vede inginochiarsi a terra, premere le mani gia pregne del suo sangue, sulla ferita. 
Boccheggiante, terrorizzato, lontano da lui.
Lo sente chiamarlo, urlare il suo nome e quello pare essere il suono più orribile che lui abbia mai sentito.

Solo alla fine, quando è troppo tardi riesce a raggiungerlo, carica alla schiena uno degli umani assalitori e spara un raggio in pieno muso ad il bastardo con il coltello, mentre lo vede strappargli una ciocca di capelli, sbalzandolo in aria di parecchi metri, ignorandolo quando atterra scomposto senza vita in corpo.

Termina la corsa, scivolando sulle ginocchia verso Ambrose che si accascia a terra, inerme mosso solo dagli spasmi con il terrore negli occhi, tossendo ed annaspando in cerca d'aria.

"Rose... babe!"

Annaspa, senza voce allungando le mani al suo viso, incapace di pensare a quanto il proprio gelo possa ferirlo ulteriormente, lo afferra cercando di tirarlo sopra le sue gambe, stringendolo mentre le lacrime si bloccano dietro lo strato di ghiaccio che ne ricopre il volto congelandosi automaticamente. Lo sente annaspare cercare di dire il suo nome senza riuscirci finchè non spira l'ultimo respiro e sul suo volto si cementa l'espressione di terrore avuta fino a quel momento.

"No... va tutto bene..."

Tutto si ferma, viene messo in pausa: gli assalitori che gli urlano ancora addosso e che gli lanciano le pietre contro la corazza che lo ricopre, i mutanti e super umani che intorno a lui combattono per la loro vita, i proiettili che vengono sparati in ogni direzione, l'inferno tutto si congela.

Il ghiaccio comincia a ramificarsi sul corpo senza vita di Ambrose, come un reticolo di cristalli preziosi, percorrono ogni centimetro del suo corpo congelandolo, proteggendolo in un bozzolo protettivo di ghiaccio compatto mentre lui serra le labbra e si sente vuoto.

Per la prima volta in vita sua Connor sente freddo.
Un gelo tale nell'anima che pare togliere ogni senso di calore dato dalla vita.
Lascia il corpo di Rose a terra, dandogli un ultimo bacio, alzandosi con occhi sgranati ed allucinati mossi da un odio feroce da riversare contro chiunque in avesse mosso un dito contro di lui.
Un odio nato dalla perdita, dai risentimenti e dalle mille domande che gli affiorano in mente.

Cosa resta? 
Non ci saranno più parole. 
Parole in grado di raccontare il loro passato, non parole atte a fantasticare sul futuro, sulla prossima volta.

Avanza lentamente, con tutta la calma del mondo mentre davanti a lui la vita e l'odio riprende il suo regolare ritmo di uccisioni, percosse ed insulti. Davanti a lui si avvicinano due tizzi armati di coltello, con la stessa espressione sanguinaria sul volto. Riceve le pugnalate che slittano sulla corazza prima di colpire il viso con i pugni ghiacciati e duri come magli.

Cosa resta? 
Forse un pacco mai spedito, un regalo pensato e non fatto solo perché non c'era la ricorrenza giusta, una parola mai detta, un libro che avreste voluto consigliare. 
Forse un cuscino con il suo profumo o un letto mai disfatto dalla passione. 
Un messaggio vocale da risentire. 
Una foto.

Altri due si avvicinano, sostituiscono i precedenti, armati di pistole, svuotandogli addosso il caricatore, ma ogni colpo viene deviato e Connor assottiglia gli occhi per nulla mortificato nel vederli impalati in poco tempo dal geyser di ghiaccio che erutta dal terreno sbalzandoli e congelandoli. Quello che riesce a schivarlo all'ultimo momento tenta di colpirlo, ma il mutante ne afferra la gola che ben presto diventa cianotica congelata, e si ritrova a vedere il riflesso del proprio volto ghiacciato coperto di schizzi di sangue negli occhi di quella vittima.

Cosa resta? 
Una canzone che non si sentirà mai più. 
Quel locale dove no, non si potrà andare. 
Quella panchina dove quella volta aveva sorriso in quel modo buffo dove proprio non ci si potrà mai più sedere insieme.

Lancia il corpo via da se, come una bambola di pezza, avanzando contro altri mutanti che tentano di caricarlo abbandonando il corpo di una giovane mutante riversa al suolo con le ali strappate, davanti a se si materializza un alto muro di ghiaccio che cade in avanti imperentorio schiacciando numerosi uomini e donne.
Sale sopra di esso, ignorando i volti dei morti sotto lo strato di ghiaccio ma notando poco più avanti un vecchio con indosso una giacca militare sollevare un neonato dalla pelle verde con una mano ed un coltello da cacciatore nell'altra, mentre la madre in ginocchio, in lacrime urla e supplica.

Perché proprio a voi due?

Un urlo disumano e gutturale gli esce dalla bocca serrata, come un esplosione mentre il ghiaccio sfrigola nelle sue mani prima di sparare una raggio intenso, congela l'aria diretto al volto del carnefice cacciatore.

Si risveglia boccheggiante, terrorizzato e tremante, con le lacrime che sgorgano dagli occhi incapace di prendere fiato, piegato su se stesso, in agonia.

Dopo un grande dolore
viene un sentimento formale-
i nervi, siedono cerimoniosi come tombe-
il cuore irrigidito si chiede
se proprio lui ha sopportato,
e se fu ieri, o secoli fa.
I piedi-meccanici-
vagano su una strada legnosa
se di terra o di aria o niente-
ormai indifferenti.
Appagamento di quarzo, come pietra.
Questa è l’ora di piombo-
ricordata da chi sopravvive,
come gli assiderati ricordano la neve:
prima il gelo, poi lo stupore –
poi l’abbandono.
Dopo un grande dolore
Emily Dickinson

martedì 30 agosto 2016

Living for tots


Dicono che la vita ti passi davanti agli occhi quando sei prossimo alla morte, ma per me non è stato così.

Mi sono trovato quantomeno in un paio di occasioni a rischiare la vita, ma in nessuna di queste è stata la mia vita passata a farsi viva. Nessun ricordo dolce o amaro, nessuna esperienza trascendentale, dal primo vagito all'ultimo spiro. 
Ero fottutamente terrorizzato e quella sensazione era troppo reale e troppo soffocante per permettere alla mia mente di avere quel lieto fine tanto proclamato ed anticipato dalle leggende.

No. Non è la prossimità alla morte a permetterti di rivedere la vita passata.

Fu l'entrare in quella stanza ad avermi preso a sberle dritto in faccia.
Già dalla soglia si notava l'amore protratto da Max ed Arthur verso il piccolo John, una vera e propria cameretta di quella che si vede nei film o nelle riviste d'arredamento. Un trenino era per terra con i vagoni sparsi e disordinati di vari colori, come se ognuno di essi avesse una funzione specifica all'interno di una qualche avventura pilotata dalla fantasia, il cesto dei giocattoli era posto in un angolo, largo e basso per permettere al piccolo cucciolo d'uomo di metterci mano agevolmente, e conteneva ogni sorta di diavoleria adatta per stimolare il gioco ed accattivare l'interesse del bambino per le forme ed i colori più disparati. 
Ed al centro della stanza troneggiava lui, il lettino azzurro pieno di una miriade di pupazzi colorati e morbidi, pronti ad accompagnare il pargolo nel mondo dei sogni, come se la quantità di orsacchiotti e papere misurassero il desiderio di protezione dei genitori stessi. 

"è graziosa vero?"
Rimasi frastornato nel vedere quell'immagine.
Nel constatare come una camera fosse in grado di rappresentare l'amore di un genitore.
Forse sarebbe stato tale anche se non avessero avuto i soldi per permettersi tutto quell'insieme di cose, giochi ed oggetti vari. Lo era. Era la rappresentazione del loro amore.

"Tuo figlio è fortunato."
Lo è davvero. 
Suo figlio era amato, era seguito, era al centro della loro attenzione, e da loro guidato verso il futuro.

Per un attimo la parte lucida e logica di me venne meno, perse i colpi e fu in quel momento che rividi la mia vita davanti agli occhi.

Stretto con i gemelli a dormire in una stanza sola per lasciare le altre a Zach ed ai genitori inesistenti, vestiti e scarpe di seconda mano, per non parlare di giocattoli difficili da mantenere sani ed usabili. Urla e litigi all'ordine del giorno per poi essere lasciati in balia di se stessi.
La fuga per le strade del South.
La vita in mezzo ai senzatetto.
Il ritorno a casa ed i tafferugli a scuola.
Le lotte nel cortile.
Le ossa rotte ed i lividi sul corpo.
L'arresto.
Il corso di giornalismo e lo psicologo comunale.
La mutazione.
La scuola.
Max.
Le missioni.
Le investigazioni.
Il Doubter.
Ambrose.

"Mi sganci le sbarre."

Lo guardai senza prestare attenzione. Io e Max siamo stati simili ed opposti un sacco di volte, ma mai tanto differenti quanto in quel momento. Aveva un marito, una casa, responsabilità ed amore ed ora un figlio. 
Era cambiato.
Era cresciuto.

"Le sbarre?"
"Si, scusa."

Sarei arrivato a quel punto anche io? 
Sarei riuscito a dedicare tanto amore e devozione verso qualcuno di così piccolo ed indifeso?
Non sono fatto per fare il genitore, l'ho sempre pensato, l'ho sempre creduto. Ma se lo fossi?

"Stai per sposarti, no? Magari tra qualche anno, chi lo sa..."
"Sarei un padre terribile."
"Non fare pronostici dei quali non puoi essere certo. John ti adora."

Potrei davvero vivere la mia vita per qualcuno tanto piccolo, per crescerlo e renderlo un uomo in un mondo dove l'odio viene servito come acqua corrente, ed il pericolo è dietro l'angolo?
Riuscirei a prendermi tale responsabilità?


martedì 23 agosto 2016

Doubt

Sono solito sostare sulla soglia ad osservarlo dormire come un ragazzino, quando non riesco a prendere sonno. Grande e grosso, resta aperto come una stella, sdraiato a pancia in giù abbraciando il materasso ed esponendo la lunga cicatrice che ha lungo la spina dorsale.

Da quando è mutato tutto è cambiato, eppure quando dorme sembra sempre lo stesso.

Ogni movimento è più preciso, accurato. Mani che si accostavano timorose al mio volto ora si avvicinano con certezza, afferrando e prendendo ciò che desidera con fermezza e brama.

Noto sul suo volto una sicurezza ritrovata, quasi fosse maturato all'improvviso e lo capisco: riuscire a fare qualcosa che si desiderava da tempo, ci porta ad ignorare ogni sorta di parsimonia passata, non ne abbiamo mai abbastanza, vogliamo strafogarci di quella situazione. 
Un pò come quando si scopre il sesso la prima volta.

Ma avrà ancora bisogno di me?
E se si... stava con me per quello? Per necessità?

Lo noto... ancora mi chiede di passargli le piccole cose, e non lo fa per abitudine ma per continuare a rendermi partecipe della sua vita. Riesce a schivare gli sportelli ed i cassetti lasciati aperti, mette mano alla maniglia di una porta chiusa ancora prima di protendere la mano per accertarsi che lo sia al posto del vuoto nello stipite, una sera lo vidi raccogliere le mie scarpe per rimetterle a posto.

Avrà ancora bisogno di me? Era questo che ci legava, una necessità profonda ed egoistica reciproca?
Se lo fosse... non potrei biasimarlo... non sono da meno.
Avevo bisogno di qualcuno come lui, che non mi vedesse per come mi mostro ogni giorno, avevo bisogno di qualcuno che mi vedesse davvero.

E allora... chi sarebbe il più egoista fra i due? 
E ci sarebbe qualcosa di sbagliato? 
L'amore non è forse un'elevazione massima dell'egoismo? 
Non amiamo forse qualcuno perchè ci fa stare bene? 
Non stiamo insieme alla persona amata per il piacere che ne traiamo?

Si, lo amo.
Perchè?
Perchè sto bene con lui. Perchè sono sereno, perchè mi fa sentire in pace con me stesso, perchè posso zittire quella parte di me che continua a darmi addosso e sottolinea ogni mio errore.
Perchè non mi sento più solo.
Sono egoista?
Si, ma se lui non ci fosse, se lui non dovesse più esserci, quello che sono ora, sparirebbe, non esisterebbe e verrebbe dimenticato.

Ed io non voglio sparire, non voglio essere dimenticato.



lunedì 22 agosto 2016

Zachary Tobias McGallaghan

22|08|2024

La luce entrava dalla finestra della camera da letto per investire totalmente la testata ed i cuscini.
Aveva spostato il letto, ed aveva tenuto alzate le tapparelle da quando Ambrose gli raccontò di aver avuto il letto sotto la finestra fin da piccolo, per svegliarsi con il sole caldo sulla pelle.

Connor era sempre il primo a svegliarsi, non che avesse mai dormito troppo dopo l'ultimo anno alla scuola. Ma amava la mattina presto, quando erano ben pochi coloro che si alzavano ed ancora i problemi non erano noti. Restava per almeno un ora con la schiena poggiata alla testata del letto, leggendo qualche vecchio libro ingiallito aspettando il momento giusto per risvegliare Ambrose.

- Da quanto sveglio, mon coeur? - domandò allungando una mano a sfiorargli le dita, l'anello all'anulare che spediva sulle pareti riflessi che non avrebbe mai visto.
- Hey... 
- Hai un tono strano, mon choum... 
- Ho solo pensieri per la testa. - disse scuotendo il capo con un mesto sorriso stringendogli le dita con delicatezza. 
Ambrose non replicò, ma non gli serviva guardarlo per capire che questi stava attendendo il seguito osservandolo o probabilmente concentrando il suo udito totalmente su di lui.
- Stavo pensando a mio fratello, a quello che mi disse un giorno... quando ero piccolo... 
Ambrose si tirò a sedere, stiracchiandosi lentamente e senza nessuna fretta prima di poggiare la schiena alla testata del letto prestandogli attenzione. - Raccontami.

Benché fosse mattina il caldo che aleggiava nella cucina assolata era insopportabile. La carta da parati macchiata e rovinata sulle pareti era di un giallo intenso e nauseante al punto da rendere la stanza un enorme tuorlo d'uovo, dio... credo che la mia avversione per le uova derivi da quella stanza.
L'unica cosa buona di quel posto, era il profumo del bacon che sfrigolava nella padella sul fuoco ed il fischiettare di Zachary intento a cucinare la colazione per gli altri fratelli.
Zachary Tobias McGallaghan, primogenito della famiglia, concepito in un bagno chimico durante un rave party tenutosi nella zona industriale di Philadelphia, e con la responsabilità di noi fratelli sulle spalle. Già prossimo alla trentina era il perno fondamentale della famiglia, intorno al quale giravano tutti gli altri membri. Fu il primo a cercare di tenere uniti noi fratelli quando alle porte si presentarono i servizi sociali dopo le continue segnalazioni dei vicini: "Il padre è un degenerato, continua ad ubriacarsi ed a pisciare sulle mie azalee!" era solita gridare la vicina della casa affianco, "Madre? quale madre? davvero pensate che i McGallaghan ne abbiano una? quella passa più tempo a farsi di crack che ancora mi sorprendo abbia i denti addosso!"
Io sono l'ultimo dei quattro figli e stravedevo per Zach, vuoi perché mi faceva da figura paterna in assenza dei veri genitori, vuoi perché era il primo ed unico essere umano ad interessarsi di me. 
Ero solito accucciarmi sulla curva delle strette scale che davano dalle camere alla cucina, ma Zach aveva un udito finissimo, o meglio questo era quello che credevo visto che non mi rendevo mai conto di quanto gli scalini e le assi del pavimento scricchiolassero al mio passaggio. 
La casa era vecchia, cadeva a pezzi, chi mai ci poteva pensare? 
Lui ci pensava, ogni volta mi beccava e se ne usciva con un: "Se sei sveglio muoviti a buttare l'immondizia. Fra poco è pronto." agitando la padella e sventolando poi la mano sopra di questa per spostare il vapore, dare una sberla alla cappa ed inveire contro di questa per il suo non funzionamento.
Io mi lamentavo e piagnucolavo perché odiavo il caldo e fuori era anche peggio. ma non vi erano obiezioni con lui. "Fa caldo fuori come fa caldo dentro, Condor!" 
Condor. Odiavo quello stupido soprannome, ma almeno era meglio di essere chiamato Condom. Ben e Luke erano soliti chiamarmi in quel modo da quando i loro due neuroni erano riusciti a notare il collegamento fonetico fra il mio nome e quello dell'anticoncezionale. Ben e Luke... i gemelli McGallaghan, gli unici esseri talmente infidi e bastardi da essere riusciti a farsi cacciare da un paio di scuole pubbliche della città e riuscire comunque a farsi prendere dalle altre. 
Da quando capirono di aver trovato un nuovo modo per infastidire il fratello minore, il "trova il soprannome a Connor" divenne il gioco della casa. E Zach provò a infilare sempre in mezzo quel "Condor" ma era una battaglia persa in partenza contro i gemelli.
Insomma buttai l'immondizia. 
Uscii all'esterno e maledissi il fatto che le due palazzine a schiera di fronte fossero perfettamente distanti fra loro, quel tanto che bastava al sole di centrare in pieno la casa. Riusciva sempre ad illuminare casa nostra dall'alba al tramonto, restando incorniciato fra le due palazzine come se fosse una faro incandescente ed enorme posto sempre su di noi per farci arrostire.
Quando rientrai in casa, vidi i gemelli già al tavolo con le bocche piene intenti ad ingozzarsi il più possibile prima del mio arrivo. 
- lo sapevo lo avete fatto apposta! - mi lamentai...
- Shut up, Compost! - fece Luke
- Non inizia neanche per Con, quindi non mi tocca! - Feci il risoluto ma erano comunque riusciti nel loro intento.
- Si sta zitto Con-post! - incrementò Ben.
- Quella non è neanche una parola...
Poco importava erano riusciti nel loro intento, evitare il lavoro, accaparrarsi il premio ed infastidirmi, vittoria su tutta la linea, o quasi. Fortuna che esisteva Zach sempre pronto a migliorare la situazione diede un paio di coppini ai gemelli per poi cacciarli in cantina per lavare i panni sporchi, mettendomi sotto il naso un piatto abbondante. 
Zack riusciva a migliorare la situazione in pochi secondi sempre, sarà pure stato il fratello maggiore ma non era tenuto in considerazione solo per quello. Aveva mollato la scuola per badare a noi ed alla casa, ed era riuscito a procurarsi un paio di lavori, quel tanto che bastava per non farci morire di fame ed uscire puliti: dalle 7:00 alle 9:00 si preoccupava che i fratelli arrivassero sani e salvi, puliti e con la pancia relativamente piena a scuola. Dalle 11:00 alle 15:00 era di turno come lavapiatti e tuttofare per una tavola calda nella Oldcity, poi dalle 16:00 alle 21:00 era di turno in una qualche fabbrica della Zona industriale per poi tornare infine a casa ad occuparsi nuovamente di noi. Il nostro compito nel frattempo era semplice. Andare a scuola, cercare di non farci espellere, se possibile studiare ed evitare di cacciarci nei guai fino a quando non rimetteva piede in casa. 
Mi mise il piatto davanti mi posò la mano sulla tessa e mi frizionò il capo.
Io restavo a guardarlo mentre si infilava una striscia di bacon in bocca e gia metteva a bagno le pentole. "Perché lo fai?" gli chiesi imitandolo nell'infilarmi una striscia di bacon in bocca. "perché ci fai da genitore? perché non vai all'università come i tuoi amici?" ricordo che si voltò con un largo sorriso prese una striscia di bacon e mi indicò con quella neanche fosse una di quelle bacchette da direttore d'orchestra, per richiamare la mia attenzione. "Perché quando hai una famiglia, hai delle responsabilità Condor, e devi fare di tutto per essa. Anche se sono dei sacrifici. E poi senza di questa saremmo un branco di cani sciolti e soli." mi fece mentre si avvicinava a versare il latte in un bicchiere. "prima viene la famiglia Con, sempre, ed ora bevi il tuo latte e fila a prepararti che fra poco passa il pulmino."

- Sembra un uomo fantastico.
- Già.
- Lo inviterai al matrimonio, mon cour?
- Non posso.
- Oui? Perché?

Connor si voltò si avvicinò posandogli una mano sul viso per dargli un rapido bacio. - perché è morto, my Deer. Ora alzati vado a preparare la colazione.